Il ruolo del Professionista

L’importanza di una adeguata terapia di mantenimento implantare

La terapia implantare per la sostituzione di uno o più elementi dentali è un trattamento efficace e mostra un’ottima percentuale di successo. La long term efficacy di un impianto protesico, ovvero il suo successo a lungo termine, dipende in larga misura dalla corretta attuazione di un protocollo di mantenimento. Quest’ultimo è talmente determinante da meritare di essere considerato come parte integrante della stessa terapia, la cui efficacia è strettamente correlata tanto al paziente quanto al Professionista.

Un corretto programma di mantenimento implantare, infatti, dovrebbe prevedere tre componenti fondamentali:

  • misure intraprese dal paziente, che consistono prevalentemente nella pratica di una corretta igiene orale, nell’evitare l’esposizione a rischi ambientali quali il fumo di sigaretta, e nell’adeguata gestione di eventuali patologie croniche come il diabete;
  • procedure preventive messe in atto dal Professionista, come la rimozione dei depositi sopragengivali, la lucidatura e l’eliminazione di eventuali difetti a carico dell’impianto dentale che potrebbero incrementare la ritenzione della placca;
  • terapia parodontale di supporto, ossia l’insieme di tutti gli interventi necessari a trattare cause, meccanismi fisiopatologici o sequele di eventuali patologie dentali e del cavo orale.

Personalizzazione del programma di mantenimento e valutazione dei fattori di rischio

Il Professionista stabilisce gli intervalli di tempo tra un controllo e l’altro, nonché le tipologie di indagini da impiegare di volta in volta. In generale, gli studi suggeriscono che l’intervallo ideale dovrebbe andare da un minimo di 3 ad un massimo di 6 mesi, in quanto un’attesa superiore comporterebbe un aumento del rischio di insorgenza di patologie parodontali post-impianto. Tuttavia, al momento della pianificazione del programma di mantenimento, il Professionista è tenuto a valutare la presenza di eventuali fattori di rischio legati sia al paziente che al tipo di impianto utilizzato che suggeriscano la necessità di controlli più frequenti o indagini più approfondite. In questo modo è possibile pianificare un programma di mantenimento implantare personalizzato e di massima efficacia.

Ad oggi, non esistono dei criteri di valutazione universalmente riconosciuti che stabiliscano con precisione come impostare la frequenza dei controlli, diversi studi hanno però suggerito una serie di fattori utili ad individuare i pazienti più a rischio.

Per quanto riguarda i fattori di rischio individuali, le variabili suggerite sono le seguenti:

  • percentuale di sanguinamento al sondaggio;
  • numero di tasche ˃ 4 mm;
  • numero di denti perduti partendo da un totale di 28 denti;
  • perdita di supporto parodontale in relazione all’età del paziente;
  • condizioni sistemiche e genetiche;
  • fattori ambientali e abitudini del paziente.

Particolare attenzione andrebbe prestata, inoltre, ai pazienti con una storia di parodontite grave e scarso controllo della placca, in quanto questi risultano essere più a rischio di sviluppare patologie peri-implantari. Alcuni test potenzialmente utili per la valutazione del rischio riguardano il microbiota delle tasche parodontali, anche se non ne è stato ancora stabilito con chiarezza il valore: alcuni Autori suggeriscono che la presenza di batteri patogeni parodontali putativi, come Porphyromonas gingivalis, all’interno delle tasche potrebbe incrementare il rischio della perdita di tessuto dell’osso alveolare, mentre altri sostengono che la valutazione quantitativa della carica microbica sia più utile della ricerca di specifici microrganismi.

Anche il dosaggio delle metalloproteinasi e di altre proteine all’interno del fluido gengivale crevicolare è stato proposto come test utile per la valutazione del rischio di insorgenza di patologie peri-implantari. Tuttavia, rimangono ancora molti dubbi legati all’elevata variabilità dei risultati ottenuti, ai problemi associati a metodi di analisi ed interpretazione e all’assenza di una valutazione del rapporto costi/benefici.

Per quanto riguarda la prescrizione di eventuali indagini radiologiche, l’ADA (American Dental Association) e la FDI (World Dental Federation) suggeriscono di ricorrervi soltanto nel caso in cui il Medico ritenga che possano fornire informazioni aggiuntive che abbiano conseguenze importanti sulla cura del paziente in modo da evitare di esporre i pazienti a radiazioni non necessarie. 

Importanza del programma di mantenimento: prevenire la perimplantite

Il programma di mantenimento è prevalentemente finalizzato alla prevenzione della più grande complicanza legata alla terapia implantare: la perimplantite. Questa è una lesione infiammatoria dei tessuti che circondano l’impianto che può comportare la perdita dell’osso di sostegno. Poiché si tratta di una patologia estremamente difficile da trattare, nonché una delle cause più comuni di perdita dell’impianto, la sua prevenzione è quanto mai fondamentale. Ad oggi, anche se alcuni studi hanno ipotizzato una possibile eziologia multifattoriale, l’eziologia della perimplantite è considerata prevalentemente di natura batterica. La tecnica più diffusa per la prevenzione della perimplantite rimane dunque la decontaminazione finalizzata alla rimozione dei batteri, ottenuta mediante metodi fisici (scaling e rootplaning) ai quali è stato recentemente associato l’impiego di sostanze antimicrobiche, come la minociclina, che consentirebbe di arrivare anche nei punti più difficilmente accessibili.

Negli ultimi decenni, il settore dell’implantologia è stato protagonista di grandi progressi e poiché la fase di mantenimento dell’impianto ricopre un ruolo essenziale per la riuscita a lungo termine della terapia sono necessari nuovi studi in quest’ambito. In prima istanza andrebbero approfonditi i fattori locali e sistemici in grado di innescare processi infiammatori intorno all’impianto, anche in assenza di infezione, così da stabilire nuovi markers di rischio che aiutino il Professionista nella stesura di un programma di mantenimento efficace. Successivamente sarebbero necessari studi clinici a lungo termine che consentano la stesura di veri e propri protocolli di mantenimento che tengano conto anche delle caratteristiche chimiche e fisiche dei vari impianti oggi disponibili in commercio.

Fonti

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